Mese: marzo
Anno: 2011
Articolo: 9
Lettere a un giovane poeta
Quinta Epistola
Suggestioni dalla Roma di Rilke
Molto curiosa e divertente, la prima lettera romana indirizzata a Franz Xaver Kappus risale al 29 ottobre 1903. Il nostro Autore, scusatosi per il ritardo nel rispondere al suo più giovane collega – provocato da quella ricerca sincera di “silenzio e trinceramento” che gli immaginiamo propri e che lui stesso mette in evidenza, ci descrive quella Roma dei suoi tempi così profondamente diversa dalla nostra attuale capitale.
È un testo al quale guardo con attenzione poiché mi sento coinvolto personalmente, ma che ritengo tanto interessante proprio perché mette in luce alcuni elementi della Città immortale che si sono conservati uguali col passare degli anni.
“Siamo arrivati a Roma sei settimane fa, in una stagione in cui l’Urbe è ancora vuota, ardente, e come maledetta per il diffondersi dell’influenza. Queste circostanze ci hanno tenuti in un’inquietudine che non finiva più . L’estero gravava su di noi con tutto il peso dello smarrimento poiché ci sentivamo fuori casa propria.”
È il Rainer Maria Rilke di tutti i giorni, quello della vita quotidiana. Difficile non notare quanto poetica sia anche la resa di un evento come l’arrivo in una nuova città che certo doveva risultare futile e usuale a chi generalmente faceva una vita movimentata come quella del nostro autore (che, da come appare nelle biografie, ha visitato l’Europa intera attentamente e reiteratamente). Eppure anche questo evento si carica di profondi significati e sfocia in una riflessione sull’Urbe piuttosto originale.
“A ciò si deve aggiungere che Roma (quando ancora non si conosce) vi immerge in una tristezza opprimente, la quale viene dal soffio di museo scipito e senza vita che essa esala, dalla moltitudine dei suoi passati che si sono voluti esumare e che si conservano con fatica (un presente mediocre se ne ciba), dalla sopravvalutazione esercitata su quelle cose sfigurate e disgregate dai filologi e scienziati, e al loro seguito, dai tradizionali visitatori dell’Italia.”
Parole di grande critica: l’autore praghese inveisce su uno status quo, quello di una città che non muta, che sta ferma, dove ogni tempo è buono per restaurare quel poco che c’è per alimentare i servizi turistici di turno. Era il tempo in cui Roma cresceva, anche se Rilke sembra ignorarlo. In meno di trent’anni la città vedrà quasi triplicare i suoi abitanti (con una folta popolazione operaia), mentre enorme importanza inizieranno ad assumere sotto il profilo economico le grandi imprese edili. Ma davvero la nostra Capitale è il frutto di una stratificazione di passati che si sono voluti esumare? O non è forse una delle uniche città al mondo che ha saputo vivere tutte le ere storiche in un cuore di contemporaneità?
“Tutte quelle cose non sono che delle vestigia, che si trovano là per caso, che appartengono a un altro tempo a una vita che non è e non deve essere la nostra. Dopo alcune settimane di difensiva si ritrova la nostra strada, ancora storditi. Ci si dice: No, qui non c’è più bellezza che altrove. Se qui c’è meraviglia è perché dappertutto se ne trova.”
Sarà un caso che Roma è stata l’erede di Atene, la culla dell’Impero Romano, il terreno dove Pietro su mandato di Gesù ha eretto la sua Chiesa? Sarà una coincidenza che la Nostra Capitale ha dato i natali a personaggi illustri in ogni tempo? Potremmo dimenticare che persino l’UE è nata a Roma?
“Acque piene di vita arrivano all’Urbe per mezzo dei suoi antichi acquedotti, danzano nelle vasche di pietra bianca nelle sue numerose piazze, si spandono dentro vasti e profondi bacini: il loro rumore ogni giorno si eleva in canto durante la notte, che qui è maestosa e stellata e dolce come la carezza dei venti. Ci sono qui dei giardini, dei viali indimenticabili, delle scale ideate da Michelangiolo a immagine di acque che cascano, ampie nella loro caduta, con ogni gradino nascente da un altro gradino, come un flutto da un altro flutto. Si deve a certe emozioni di raccogliersi, liberarsi dalla moltitudine invadente che parla e chiacchiera (e come è loquace!).”
Il titubante Rilke è caduto nella trappola: si è fatto anche lui ammaliare dall’Urbe millenaria che descrive con quella fitta rete di finimenti proprie di un Parnaso. Ed è proprio così: Roma è una città che in prima battuta ci vuole dubbiosi, non ci accoglie, ci lascia nell’antro di casa senza farci salire in salotto.
Tuttavia, venuto il momento… ci invita a cena, ci dona calore, ci fa sentire a casa nei suoi spazi larghi veramente immortali.
“Si impara lentamente a riconoscere le rarissime cose nelle quali dura l’eterno, quelle che possiamo amare, la solitudine alla quale possiamo prendere parte in silenzio.”
Un’ultima considerazione riguarda la chiusa. Il nostro autore avvisa rammaricato Kappus che gli sia rispedito il plico con le sue opere poiché non gli giunse. Scrive queste parole:
“Spero che nulla sia stato smarrito, come disgraziatamente è sempre da temere con la posta italiana.”
Si vede proprio che le cose non son cambiate…
Mario De Rosa