Commento a le “Lettere a un giovane poeta” R.M.Rilke – 6

Primo Piano 4
 

Mese: settembre

Anno: 2010

Articolo: 6



Lettere a un giovane poeta

Quarta Epistola – 1° parte

L’amore e il sesso: l’importanza di vivere le domande


Vi sono domande, nel cuore di ogni uomo, che superano tentazioni e rinunce, si presentano in modo costante e scavano un solco profondo nell’anima cercando di trovare una risposta.. Domande che son tanto più vere quando il nostro corpo, la nostra mente conoscono un desiderio, il bisogno dell’altra/altro che è il desiderio per antonomasia e si concretizza ogni volta costringendoci a pensare, ad agire, a sentire.

Rainer  M. Rilke scrive a Worpswede presso Brema il 16 luglio del 1903 un’epistola calda e intensa che raccoglie molte delle sue riflessioni sull’amore, sulla solitudine e su tutte le loro prospettive, consegnate a un giovane che, come abbiamo già precedentemente ricordato, è da considerarsi un giovine qualunque, come ognuno di noi è stato, è o sarà.

La prima immagine che Rilke ci propone di sé è quella di un uomo stanco, che cerca il risanamento nel clima e nella calma delle pianure del Nord.

“Carissimo Sig. Kappus: rileggendo ora la vostra lettera del 2 di maggio, nella grande quiete di questa lontananza, mi commuove la vostra bella ansia della vita, più di quanto non l’avvertissi a Parigi, dove tutto ha un’altra eco per l’assordante rumore di cui tremano le cose. Qui sento che a quei dubbi e sentimenti, che nel loro profondo vivono di vita propria, nessun uomo al mondo può dare risposta: poiché anche i migliori errano nelle parole, se debbono dar voce all’impalpabile, quasi indicibile.”

È una premessa veritiera e condivisibile. Rilke, affascinato dalla bramosia di vita del giovane ragazzo, nel contesto della “campagna poderosa” da dove scrive, ammette questa ineffabilità delle emozioni più profonde che hanno a che fare con la sfera dei sentimenti. Si fa carico di questa, ma non la serba per sé: è maestro nell’indirizzare all’ascolto del proprio intimo.

“Credo che voi non dobbiate rimaner senza soluzione, se vi attenete a cose affini a quelle che adesso ristorano i miei occhi. Se vi attenete alla natura, a quanto in essa vi è di semplice, piccolo, invisibile ai più e può farsi a un tratto incommensurabile; se provate questo amore per le umili cose e con semplicità, da servitore, cercate di conquistare la fiducia di ciò che sembra povero, allora tutte le cose diverranno facili, uniformi, quasi più concilianti; forse non all’intelletto che stupito indugia, ma nella sua più intima e vigile coscienza e conoscenza.”

Esiste dunque una via per capire. Il poeta della natura ancora una volta ci guida passo passo educandoci allo sguardo di ciò che è segreto e intimamente ricompreso in ciò che ci è attorno; predilige uno scenario rupestre, povero, ma chiaramente questo è pretesto e al contempo habitat di quelle riflessioni. Ecco che il poeta praghese esamina proprio quelle domande di cui dicevamo.

“Voi siete così giovane, così nuovo a ogni inizio, e io vorrei pregarvi come posso di essere paziente verso tutto l’insoluto nel vostro cuore, e di tentare di amare le domande stesse come stanze chiuse, come libri scritti in una lingua molto estranea. Non ricercate ora le risposte che non possono esservi date perché non le potreste vivere. Mentre si tratta di vivere tutto. Ora vivete le domande. Forse così, a poco a poco, insensibilmente, vi troverete un giorno a vivere la risposta.”.

È un invito a vivere tutto, per l’appunto. Certamente anche nel senso concreto della parola, che spesso si appunta a tanti giovanissimi che vogliono bruciare tappe precludendosi di percorrere la strada per intero. Ma è un invito anche più ampio e meno diretto, ad accontentarsi di ciò che giorno dopo giorno possediamo come presupposto di conoscenza per andare oltre e scoprire: un procedimento che è valido non solo nel campo dell’attività intellettiva, ma anche nelle lunghe traversate compiute dal nostro animo alla ricerca di piccole verità.

“Forse voi recate davvero in voi la possibilità di formare e creare, come modo particolarmente beato e puro di vivere; educatevi a ciò, prendendo tuttavia quel che viene con grande fiducia, e se solo viene dalla vostra volontà, da una qualunque urgenza del vostro intimo, prendetelo su di voi senza odiare nulla. Il sesso è difficile; sì. Ma è il difficile il nostro compito, quasi tutto ciò che è serio è difficile, e tutto è serio. Se solo voi lo riconoscete e giungete da voi, partendo dalla  vostra esperienza e infanzia e forza, a conseguire un rapporto affatto personale, libero da convenzioni e usanze, con l’amore, allora voi non dovete più temere di perdervi e divenire indegno del suo miglior possesso”.

Cosa vorrà dire il nostro autore in questo piccolo frangente? In che modo affronta un tema così delicato come l’amore, anche fisico, partendo dalla sua esperienza di vita? Questo sarà oggetto del prossimo commento alla quarta epistola, carica di spunti. Tuttavia, è finora indicativo che il nostro autore, prendendo coscienza della serietà di questa parte importante della nostra vita, non voglia eludere il discorso, ma guidarci prudentemente su una via – che è la sua via – fatta di conoscenza, al fine di non perderci.

Mario De Rosa

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